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ANTONIO LORENZON
"Mentre scrivo queste righe sono ancora tremante e incredulo: sono appena stato proclamato vincitore della nona edizione di MasterChef Italia. Intorno a me è già scoppiato il finimondo e dentro di me si affollano pensieri e ricordi che mi travolgono. È un’ondata di sapori, di odori e di sensazioni che mi riportano al mio passato, a quel bambino che al ritorno dall’asilo s’illuminava alla vista dei trenta perfetti tortellini che trovava sul piatto."
IL MIO PERCORSO A MASTERCHEF E LA VITTORIA
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IL MIO MANGO
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IL MIO PRIMO PESCE
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IO E LO CHEF BRUNO BARBIERI
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HO VINTO!
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LA MIA VITTORIA E LA PROMESSA DI MATRIMONIO
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COMMENTI A CALDO...
"Sì, trenta tortellini, non uno di meno, non uno di più, in un piatto con il sugo al ragù preparato dalle mani esperte e ruvide della nonna, che odoravano di cipolla e candeggina. Chiudo gli occhi e rivedo il suo volto, il suo sorriso, la sua felicità nel vedermi mangiare di gusto. Trenta tortellini mi davano sicurezza. Quella sicurezza che ho sempre ritrovato tra le mura di casa, tra le braccia della nonna, sotto lo sguardo protettivo del papà e l’amore della mamma.
Mi sono aggrappato a trenta tortellini e all’amore della mia famiglia anche quando, da piccolo, sentivo che al di fuori delle protettive mura di casa c’era qualcosa che non capivo, che mi faceva sentire sbagliato, diverso."
"E i fornelli sono stati il mio riparo, la mia consolazione quando la nonna mi ha lasciato e il pranzo dovevo prepararlo da solo nell’attesa che rientrasse la mamma stanca dal lavoro. La cucina è stato il luogo in cui mi sono rifugiato quando intorno a me tutto era complicato. Anche leggere una semplice paginetta a scuola per me era un’impresa titanica. Non capivo perché tutti riuscissero ad apprendere i rudimenti della lettura e della scrittura mentre a me risultasse così difficile: erano gli anni Ottanta e un bambino dislessico era considerato poco capace. Non capivo perché tutti gli altri riuscissero a legare tra di loro e io ero il bambino in sovrappeso che non veniva mai considerato."
"Mi sentivo incapace e stupido. Ma a casa respiravo la passione per il cibo e lì imparavo a impastare, tirare la pasta, infornare, spadellare. All’esame di terza media un professore capì il mio punto di forza, mi fece portare una mia ricetta e, davanti alla commissione, mi presentai con una crostata di frutta.
Mi fa tenerezza ripensare a quel ragazzino che si sentiva così diverso. Ma diverso da chi? Penso oggi… Perché l’unica verità è che ognuno di noi è bello nella sua unicità: sono le imperfezioni e le singolarità a renderci umani. La diversità, invece, non è altro che un concetto statistico che i matematici utilizzano per definire i valori che si scostano da un insieme o da una media, e non ha nulla a che fare con le persone. La diversità è in ogni cosa, è intrinseca in ogni gesto che facciamo e in ogni persona che incontriamo. E dobbiamo essere pronti ad accettarla perché è solo confrontandosi con essa che possiamo evolvere e migliorarci."
"A un certo punto ho capito che la diversità è la vera forza di noi esseri umani. E ho iniziato ad affacciarmi a quel mondo così variopinto, con così tante sfumature, che mi ha permesso di tirare fuori, con grande fatica, con tante batoste e delusioni la parte migliore di me: dal commesso nei negozi di abbigliamento al vetrinista, fino ad arrivare ad assumere incarichi importanti di art director e stylist. Non è stato facile per un adolescente farsi strada in un mondo in cui l’omosessualità veniva considerata una patologia, una perversione, una frivolezza fatta, nell’immaginario comune, di tacchi a spillo e boa di struzzo."
"Venivi costretto a nasconderti, a fingere, a sentire che non sei mai te stesso. Fino a che nella mia vita non è arrivato Daniel, e da quel momento ci siamo presi per mano e abbiamo iniziato a costruire a testa alta la nostra famiglia. Non è stato facile per i miei genitori accogliere l’idea della mia omosessualità. Ma quando hanno percepito come la nostra fosse una vita felice e ordinaria, come quella di una qualunque coppia innamorata che vive insieme, che fa progetti, che non avevo iniziato a portare i tacchi a spillo e che ero sempre la stessa persona, si sono ricreduti e tutto è diventato più semplice."
"Antonio, te lo ricordi questo piatto? Hai visto che piatto è?". Daniel, in semifinale, a sua insaputa mi complica le cose proponendomi la paella e la porta in quel piatto, quel piatto del servizio di ceramica lavorata che mio padre ci ha regalato nel suo ultimo Natale. Aveva fatto arrivare il pacco nel reparto di oncologia, nascosto sotto il suo letto, il suo regalo di Natale per noi. Un servizio di piatti. Ancora non sapevamo che di lì a poco ci avrebbe lasciati, ma con quel regalo voleva chiudere il cerchio, ci aveva indicato la strada. E ora mi ritrovo qui a guardare quei piatti, appoggiato al bancone della nostra cucina,e capisco molte cose."
"Capisco quanto mio padre, senza usare mai una parola, mi abbia compreso, accettato e amato. Quanto lui abbia sentito il mio dolore quando ricevevo insulti, quando ho subito ingiustizie, quando, inspiegabilmente, sono diventato bersaglio di qualcuno che, per acquistare qualche centimetro in più da regalare alla propria piccolezza, ha cercato inutilmente di piegarmi e di sottrarmi la dignità. È stato mio padre a insegnarmi che tutto l’odio e la rabbia che ti vengono gettati addosso si possono utilizzare come uno speciale fertilizzante per far crescere rigogliosi quei semi che hai piantato con tanta fatica. E quei semi ti nutrono, nutrono chi ti sta a fianco, e ti rinforzano così tanto da diventare capace di lasciarti alle spalle con coraggio le delusioni del passato, i rancori, i rimorsi, i rimpianti, con lo sguardo dritto, aperto verso il futuro. E con questo pensiero il mio sguardo si sposta su, in balconata, cercandolo."
"Nemmeno ricordo che nel frattempo è sceso a festeggiare con me. Lo cerco tra la folla festante e finalmente i miei occhi si posano su di lui. La mia mano cerca la scatolina con l’anello che ha occupato la tasca dei miei pantaloni per tutta la lunghissima finale. Non ci sono più dubbi. Non ci sono più pianti. Basta paure, basta timidezze. Dopo aver compiuto tutto questo percorso a braccetto con mio padre, con il mio passato, con la mia famiglia, questa mia felicità di stasera, quest’enorme emozione la voglio condividere con lui: mio presente e mio futuro. Nello studio è ormai tornato il silenzio, le telecamere sono lontane. «Scusate un attimo, vorrei dire una cosa..."
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